Lo strano caso di Agostina Meravigli, detta D'Artagnan - Capitolo I
Il numero 7 del settimanale «Crimen» - L'amicizia e il rapporto professionale di Agostina Meravigli e Maria Luisa Buonporto - L'efferato e misterioso delitto
Nota bene: i primi tre capitoli della lunga serie che andrà a comporre il racconto di questa intrigante e misteriosa vicenda saranno resi disponibili gratuitamente. Dal quarto episodio abbiamo pensato di limitarne la fruizione a chi accetterà di sottoscrivere un abbonamento a pagamento. Questo darà anche diritto ai sottoscrittori di ricevere in omaggio i due libri dell’autore:
- Le Radici dell’Orgoglio - La storia del movimento e della comunità LGBTQIA+ in Italia - Primo volume: 1960-1972 (pubblicato nel maggio 2024, valore €26)
- «Non esistono bambini arcobaleno» - Testimonianze di infanzie e adolescenze LGBTQIA+ (pubblicato nel giugno 2025, valore €20).
CAPITOLO I
Quando si parla di Parigi, di Londra, di New York, è di prammatica mettere vicino agli aspetti storici, alle bellezze estetiche, ai dati statistici di queste grandi metropoli una visione più o meno fosca dei loro bassifondi, e innestare il «pezzo di colore» sui misteri di Parigi, sulle miserie e le perversioni di Londra, sulle «gangs» di New York. Roma è stata quasi sempre immune da questo «rovescio di medaglia», forse perché il suo incomparabile passato, il fulgore della sua storia, le sue bellezze naturali, hanno avuto il sopravvento sull’osservatore, sul turista di passaggio, sul «romanista» sentimentale, sullo storico e anche sul cronista. Ma purtroppo una Roma segreta esiste, perché questa è la fatale legge dei grandi agglomerati urbani, delle «jungle di cemento», che alla superficie si ammantano dei vividi colori dei loro giardini, delle sagome armoniose dei loro monumenti e dei loro palazzi, mentre, proprio come nella jungla, una vita misteriosa e terribile pullula sotto l’intrigo della vegetazione bassa, nel nostro caso nel ginepraio dei vicoli, dietro le compiacenti e apparentemente innocue insegne di certi bar, di certi caffè, di certe piccole botteghe, nelle quali si danno convegno strani esseri, torbidi rappresentanti di una popolazione ignorata, che vive ai margini del consorzio civile, simile a quelle tenaci piante parassitarie, brulicanti di insetti mostruosi, che coprono con le loro ramificazioni il «bassofondo» delle foreste equatoriali. Ogni tanto un fatto clamoroso, una rissa, un omicidio, una truffa o uno scandalo di grosse proporzioni, solleva per un istante un lembo su questa piaga verminosa. Ogni tanto la Polizia, nella diuturna lotta contro la delinquenza, incappa in uno di questi ignorati «termitai» di criminali, di invertiti, di prostitute, di ricettatori, di manutengoli. Allora per qualche giorno o qualche settimana, la stampa si appassiona al «caso». Per qualche giorno il tranquillo borghese, l’impiegatuccio metodico, il commerciante o l’operaio, dediti al loro lavoro, vengono a sapere che a poche centinaia di metri dalla loro bottega o dalla loro casa, forse nello stesso palazzo dove abitano, è stata scoperta una «banda» di falsari, un gruppo di morfinomani o di invertiti, una associazione di ladri o di assassini. Non c’è da meravigliarsi né da scandalizzarsi. In tutte le grandi città, gomito a gomito con milioni di onesti lavoratori, vivono, mimetizzandosi nell’ambiente, decine, centinaia di «irregolari». In tutte le grandi città, vicino ai templi della religione o dell’arte, si annidato le case per i convegni clandestini, i ritrovi notturni nei quali bazzicano i criminali e i loro complici, gli invertiti di ambo i sessi e i loro «succubi» ... Non bisogna meravigliarsene né trarne illazioni esageratamente allarmistiche. La «jungla di cemento» ha le sue belve ma anche i suoi cacciatori. I lettori assisteranno in questo articolo e forse in quelli che verranno, ad alcuni episodi di questa lotta sotterranea contro le forze disgregatrici della nostra civiltà1.
Questo è l’incipit dell’articolo che appare sulla rivista settimanale «Crimen» il 17 febbraio 1948. Il «caso» che introduce – a cui è stata anche dedicata la copertina – è avvenuto una decina di giorni prima, il 7 febbraio, in un palazzo sobrio e dall’aspetto borghese eretto in un punto di contatto tra i quartieri romani Salario Nomentano e Trieste, proprio all’inizio di viale Regina Margherita, al numero 8, all’angolo con via Salaria. Siamo in una zona residenziale della capitale, «una delle zone più tranquille e borghesemente agiate di Roma»2, ricca di vita, di negozi e di botteghe, di cinema e a pochi passi da zone eleganti come via Veneto e i Parioli.
Nel 1948 quel distinto viale alberato è ancora chiamato da molti “viale della Regina”, perché con quel nome è stato conosciuto sino al gennaio 1926, quando, con una delibera del governatore di Roma Filippo Cremonesi, viene rinominato e dedicato alla defunta regina Margherita di Savoia, sfortunata consorte di re Umberto I.
Il fatto di nera di cui vogliamo occuparci è un delitto, l’efferato omicidio di una donna, e la rivista da cui abbiamo estratto il brano in apertura di capitolo – «Crimen», «16 pagine lire 35» – è, infatti, una delle tante riviste popolari specializzate in fatti di sangue, tragici incidenti, scandali e vicende scabrose che tanto affascinano nel Secondo dopoguerra un’opinione pubblica reduce da anni – quelli del ventennio fascista – in cui la censura ha sistematicamente occultato tutte le notizie che potevano generare dubbi sulla capacità del regime di mantenere l’ordine e di garantire la sicurezza degli Italiani.
Il 7 febbraio, il giorno in cui si consuma il delitto, è un sabato. La fredda aria invernale è attraversata dai fremiti più disparati. Il Presidente della Repubblica Enrico De Nicola ha finalmente firmato il decreto che stabilisce la data delle prime elezioni politiche repubblicane, quelle che daranno vita alla prima legislatura: si terranno poche settimane dopo, domenica 18 e lunedì 19 aprile. La campagna elettorale, a dire il vero, è già cominciata da tempo e vede una contrapposizione molto animata e aspra tra il partito cattolico, la Democrazia cristiana guidata da Alcide De Gasperi, e il Fronte democratico, l’alleanza di comunisti e socialisti che hanno deciso di presentarsi uniti al voto. Sono giorni in cui si parla e si discute molto del Piano Marshall, la vasta operazione di interventi economici americani tesi a rimettere in sesto le economie di molti paesi europei sconvolti dal conflitto appena concluso. La società italiana non è ancora del tutto pacificata: vendette e rappresaglie sono all’ordine del giorno e alimentano timori, tanto che il Consiglio dei ministri sta discutendo un progetto di legge per mettere al bando ogni «formazione paramilitare», come riportano le cronache politiche dei quotidiani usciti in quel sabato.
C’è un’altra agitazione, però, che smuove l’aere capitolino, meno pericolosa e più contingente: quella del Carnevale. Grande risalto sulla stampa romana viene dato a una manifestazione organizzata per l’indomani, domenica 8 febbraio, al Lido di Ostia, in cui si dovranno scegliere «le più belle sirene» dei tanti veglioni organizzati nella località turistica e, soprattutto, «la madrina del mare».
Non è quindi un qualunque freddo sabato di febbraio quello di cui ci stiamo per occupare. Decisamente non lo sarà per due donne che alle 20 e 45 di quel giorno decidono di chiudere la bottega di «erbe e verdura»3 che gestiscono insieme in via Salaria 65, proprio accanto al cinema La Fenice, e di far rientro a casa.
Le donne sono Agostina Meravigli, di 52 anni, nata a Grosseto il 31 giugno 1896, ma cresciuta sin da bambina a Siena prima di trasferirsi a Roma nel 1942 – risulta, infatti, registrata all’anagrafe della città dal 19 giugno di quell’anno, pur essendo, con ogni probabilità, arrivata qualche tempo prima –, e Maria Luisa Buonporto, di 57 anni, originaria di Ostuni, dove è nata nel 1891 e da dove è emigrata alla volta della capitale 14 anni prima, nel 1934.
Le due donne si conoscono già da qualche anno, perché la Buonporto abita da molti anni in subaffitto nell’appartamento della famiglia Scala, i cui componenti sono Luigi Scala, cameriere presso il caffè Doney di via Veneto, e Italia Meraviglia, sorella minore di Agostina.
Agostina e Maria Luisa si sono incontrate in occasione di una visita della prima alla sorella.
Quando Agostina a Siena rimane senza lavoro a causa della chiusura del negozio in cui lavorava come impiegata, accetta di buon grado l’offerta della Buonporto di diventare socia nella conduzione del negozio di cui è proprietaria in via Salaria, «una botteguccia modesta, con modesti incassi»4.
Le due donne – che molti nel quartiere a lungo crederanno essere sorelle – da quel momento condividono anche la stanza nell’appartamento dei coniugi Scala, al primo piano del palazzo al numero 8 di viale Regina Margherita.
La distanza dalla bottega all’abitazione è poco meno di un chilometro, che le donne solitamente impiegano circa venti minuti a percorrere a piedi, raggiungendo via Po, proseguendo sino a piazza Quadrata (oggi piazza Buenos Aires) per poi svoltare nella via di casa. Varcato il portone, salgono lente le scale, perché la lampadina che illumina la rampa è misteriosamente scomparsa.
Quella sera le due donne sono però nervose, salutano sbrigativamente un vicino che sta scendendo le scale e che le riconosce nella penombra, poi, giunte di fronte alla porta, Agostina infila la chiave, mentre Luisa suona il campanello: in quei pochi istanti, dalla rampa delle scale che le donne hanno appena salito, occultata e protetta dalla scarsa illuminazione, compare la sagoma di un individuo che spara due colpi di pistola.
Il primo colpisce al cuore Agostina, che crolla emettendo un urlo, il secondo sfiora Luisa, che si è ritratta velocemente, e produce un foro nel legno dello stipite della porta a pochi centimetri dal campanello, andandosi a conficcare nel muro opposto interno del corridoio d’ingresso.
(Il prossimo capitolo sarà pubblicato il 2 luglio)
Se gradisci chiarimenti aggiuntivi o esprimere una osservazione o riflessione sulla storia di Agostina Meravigli lascia un commento. Ti ricordiamo che il caso della fruttivendola di via Salaria è ancora un “cold case”, ma, grazie ai tantissimi documenti relativi all’inchiesta e al processo, così come alla dovizia di informazioni che abbiamo spigolato accuratamente sulla stampa popolare (quotidiani e rotocalchi), siamo certi che, tra qualche tempo, potremo provare a formulare ipotesi per la soluzione del caso.
Riusciremo a dare un nome all’assassino della D’Artagnan?
Anonimo, Chi ha ucciso D’Artagnan?, su «Crimen», Anno IV, nr. 7 del 14 febbraio 1948, pagg. 1, 12 e 14.
Ibidem
Questo negozio viene definito con varie formule sui giornali: qualcuno parla di un negozio di frutta e verdura, altri di un negozio di frutta secca, altri ancora di un negozio di frutta e uova.