Siamo ancora pederasti...
L'epiteto omofobo è stato utilizzato in una chat di FdI nei confronti di Francesco Spano, il manager culturale che Alessandro Giuli ha voluto al Ministero della cultura come suo capo di gabinetto
di Giorgio Umberto Bozzo
Nel primo volume del saggio Le Radici dell’Orgoglio, uscito nel maggio scorso, riferendomi al linguaggio utilizzato sui giornali italiani nel secondo dopoguerra per quelle occasioni (poche e sempre collegate a fatti di cronaca nera) in cui si affacciava l’idea dell’omosessualità, ho scritto:
Siamo in un momento della nostra storia in cui, nel linguaggio popolare, per indicare un omosessuale di sesso maschile, va per la maggiore il termine invertito; regge ancora dai primi decenni del secolo quando era molto in voga pederasta; mentre perde decisamente terreno, dopo secoli d’uso, il biblico sodomita. La donna omosessuale, invece, è quasi del tutto rimossa dal linguaggio e dall’immaginario collettivo. È comunque vero che sulla stampa ci si riferisce all’«amore che non osa dire il suo nome» preferibilmente con grottesche e talvolta enigmatiche perifrasi: «gli ambienti particolari», «lo squallido mondo del turpe vizio», «il giro dei degenerati», e chi più ne ha più ne metta, lasciando libero sfogo alla fantasia e al disprezzo. Ci siamo divertiti a spigolare nel linguaggio giornalistico del tempo alla ricerca di sostantivi ed aggettivi utilizzati negli articoli di cronaca – con maggior frequenza nera – in cui si adombra l’idea dell’omosessualità.
Ce n’è per tutti i gusti. Nella categoria dei sostantivi, a parte i già citati classici come sodomita, pederasta e invertito, troviamo anche uranista o urningo*, anormale, anfibio, irregolare, capovolto, mancino del sesso, genere neutro e la lista potrebbe continuare a lungo, soprattutto se volessimo integrare anche i termini in vernacolo.
Inquietante la lista degli aggettivi, che rende ancora più chiaro il pregiudizio di chi li utilizza: scabroso, ripugnante, equivoco, anormale, triste, penoso, tragico, scottante, mostruoso, abnorme...
(* Questi termini sono stati coniati da Karl Einrich Ulrichs (Aurich, 28 agosto 1825 – L’Aquila, 14 luglio 1895), uno scrittore e poeta omosessuale che nel corso degli ultimi decenni del XIX secolo è stato un pioniere dell’attivismo omosessuale).
“Pederasta” è quindi stato a lungo un termine comunemente utilizzato con malcelato fastidio per indicare un omosessuale maschio e, va detto, ancora oggi alcuni dizionari lo presentano come una legittima variante.
Peccato che non sia così, giacché l’etimologia fa derivare la parola dal greco παιδεραστής formato da παῖς, παιδός cioè "fanciullo" e da ἐράω ossia "amare": significa quindi più propriamente "chi ama i fanciulli" (fonte Treccani).
È abbastanza evidente che il termine abbia, quindi, più a che vedere con la figura del “pedofilo”, che con quella dell’“omosessuale maschio” e chi lo utilizza dimostra o un’imbarazzante ignoranza (siamo nel 2024 e il movimento di liberazione omosessuale ha già più di 50 anni!), o una chiara e spregiudicata intenzione offensiva nel voler far coincidere queste due per nulla conciliabili tipologie umane.
È probabilmente il caso del prode coordinatore di FdI per il IX Municipio di Roma Fabrizio Busnengo, che il 12 ottobre scorso, in una chat Whatsapp frequentata da circa 200 “cameratə” (l’uso della schwa è necessario, perché nella lunga lista di partecipanti alla Casa del Fascio virtuale vi sono anche donne, come ad esempio la potente capessa della segreteria nazionale Arianna “sorella di” Meloni), il termine “pederasta” l’ha utilizzato per indicare Francesco Spano, il nuovo capo di gabinetto del Ministro della cultura Alessandro Giuli, reo di essere gay, cattolico, sposato (con un maschio adulto, ça va sans dire) e ideologicamente lontano dal partito di Giorgia Meloni.
La frase esatta postata in chat sarebbe stata: «Buongiorno, voglio segnalare il grosso malumore nel nostro partito per la nomina del pederasta Spano da parte del ministro Giuli».
Peraltro il “pederasta Spano” era stato fatto subentrare - con molti mal di pancia che a qualcuno forse hanno ricordato le sane purghe all’olio di ricino del gaudioso Ventennio - a Francesco Gilioli, capo di gabinetto del predecessore di Giuli, il cui nome era malauguratamente affiorato più volte nel corso della sit-com andata in scena nei mesi scorsi con grande successo di pubblico e critica e con protagonisti quella azzeccatissima odd couple dell’ex Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano e dell’«l’esperta pompeiana» (copyright Paolo Mieli) Maria Rosaria Boccia.
Il balilla Busnengo, redarguito dai vertici del suo partito dopo - non prima - che l’incidente fosse denunciato da Il Fatto Quotidiano, ha lasciato sia la chat che l’incarico di coordinatore, non senza essersi giustificato dicendo che Spano avrebbe «posizioni ignobili sui temi Lgbtq».
In questo, con ogni probabilità, l’ormai ex coordinatore potrebbe essere stato influenzato dagli strali lanciati nei giorni della nomina ministeriale contro il manager culturale da alcuni esponenti di Pro Vita e Famiglia, che al protégé di Giuli ancora rinfacciano una storiaccia del 2017: in un servizio di intrepido giornalismo di denuncia (è ironico e va letto come “becero intrattenimento infarcito di perbenismo populista”) del programma di Italia 1 Le Iene, Francesco Spano, allora direttore dell’U.N.A.R., l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Raziali, era stato bullizzato per aver concesso un contributo a un’associazione LGBT+ che organizzava - udite, udite! - serate di “orge e sesso a pagamento” (N.d.A., si trattava dell’ANDDOS, che, prima di rifondarsi nell’A.R.C.O., riuniva molti locali privati a frequentazione omosessuale, tra questi anche saune e bar dotati di dark room). Spano allora diede le dimissioni sull’onda dello sdegno nazionalpopolare.
Oggi, con una lettera al Ministro della cultura, compie lo stesso gesto, affermando che «con sofferta riflessione mi sono determinato a rassegnarLe le mie dimissioni dal ruolo di capo di Gabinetto della Cultura con cui ha voluto onorarmi… Il contesto venutosi a creare, non privo di sgradevoli attacchi personali, non mi consente più di mantenere quella serenità di pensiero che è necessaria per svolgere questo ruolo così importante. Nell’esclusivo interesse dell’Amministrazione, pertanto, ritengo doveroso da parte mia fare un passo indietro».
I soliti ben informati avanzano anche ulteriori ragioni del gesto, che potrebbero essere contenute in un prossimo servizio di Report su presunti conflitti d’interesse del manager.
Decisamente il rapporto di Spano con la TV è a dir poco problematico.
Nel secondo capitolo di Le Radici dell’Orgoglio, intitolato Un anno di scandali (1960), ho raccontato come proprio nell’anno delle celeberrime Olimpiadi di Roma, il nostro paese abbia visto scoppiare una serie di scandali che riempirono per mesi le pagine di quotidiani e rotocalchi del nostro paese: nell’aprile a Roma vi fu la pruriginosa vicenda del giro dei ragazzi-squillo dello scultore tedesco Kostantin Feile, mentre, nell’ottobre dello stesso anno e con maggiore forza deflagrativa, si palesò ad uso e consumo della morbosità dei nostri connazionali lo scandalo monstre dei “balletti verdi”, che ebbe come epicentro la cattolicissima “Leonessa d’Italia”, Brescia.
Per mesi le testate giornalistiche raccontarono e denunciarono - tra indiscrezioni prese per buone e vere e proprie bufale - la profonda corruzione dei costumi che aveva prodotto un vorticoso mercato del sesso mercenario a cui partecipavano importanti professionisti e industriali, prelati alto e basso locati, vip del mondo dello spettacolo e che aveva come come “vittime” decine di ragazzi minorenni del capoluogo di provincia lombardo.
Si arrivò a sussurrare nomi come quelli di Aldo Fabrizi, Gino Bramieri, Dario Fo e Franca Rame (sic!). Lo stesso “re del quiz”, il presentatore più famoso del tempo, Mike Bongiorno, dovette impegnarsi in smentite e querele per difendere la propria reputazione. Ovviamente nessuno di questi personaggi aveva nulla a che fare con un’inchiesta che, conclusasi, portò a un processo al termine del quale un manipolo di disgraziati si videro comminare pene del tutto irrisorie per “favoreggiamento della prostituzione”.
“I poveri fanciulli corrotti” si rivelarono ragazzotti del tutto interessati a racimolare denaro facile giocando sui vizi privati e le debolezze di omosessuali per lo più facoltosi della zona.
Se volete approfondire questi scandali, come ho già detto, leggete il secondo capitolo di Le Radici dell’Orgoglio.
In quegli anni gli omosessuali come potevano non essere “pederasti” agli occhi dell’opinione pubblica? Quell’inattesa e involontaria visibilità dell’omosessualità era pur sempre associata a relazioni mercificate di scambio di favori sessuali tra adulti e minori (tenendo peraltro presente che la maggiore età si raggiungeva solo a 21 anni).
Ancora più efficace nel creare una sovrapposizione tra “omosessualità” e “pederastia” a fine anni Sessanta vi sarebbe stato il drammatico caso del povero Ermanno Lavorini, il dodicenne di Viareggio che per mesi si ritenne che fosse stato rapito e ucciso da orchi omosessuali (in questo caso, per approfondire, dovrete leggere il capito sesto di Le Radici dell’Orgoglio).
Quanti ricordano che, andando pian piano a scemare l’interesse per il caso, quando le indagini sul terribile omicidio giunsero al temine si scoprì che Ermanno non era stato ucciso da “pederasti”, ma da un gruppo di giovani balordi di fede neofascista e monarchica, che volevano impiegare il riscatto per acquistare esplosivi e compiere attentati?
Credevamo che “pederasta” fosse rimasto incagliato e ben zavorrato in quegli anni foschi e incolti, che potessimo ricordarlo senza alcuna nostalgia come retaggio di vicende remote per cui non si può che provare che uno sgradevole imbarazzo.
Invece, a quanto pare la destra di governo - che molti si sperticano a presentare come moderna e perbene - non riesce ad abbandonare l’attaccamento alle proprie squallide “tradizioni” linguistiche: per gli scherani filogovernativi noi omosessuali siamo ancora “pederasti”.
Vorrebbero farci credere che siamo dei criminali universali, mentre la verità è che sono loro a essere grottescamente fuori dal mondo e dalla realtà.
E dal presente. E a quanto pare lì in quel limbo ci si trovano bene.